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La Grande Guerra cap 9

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CAPITOLO NONO. LA CERVA DALLE CORNA D’ORO.

Phoenix e Andromeda erano letteralmente sconvolti. Erano giunti con Dragone alla Terza Casa, un tempo presieduta da Gemini, e vi avevano trovato Fiore di Luna, l’amica di infanzia di Sirio, in balia di alcuni sgherri di Ares. L’avevano salvata, ma lei, inspiegabilmente, aveva ferito Sirio, colpendolo sul collo con un gladio dorato, prima di iniziare a urlare, ad osservare spaventata l’amore della sua vita accasciarsi al suolo, in una pozza di sangue.

“Sirio!!!” –Urlò Andromeda, soccorrendo l’amico. –“Sirioo!!!”

“Aaah!!!” –Gridò Fiore di Luna, che sembrava  impazzita, sconvolta per l’accaduto.

“Fiore di Luna!” –La chiamò Phoenix, con aria decisa. Ma la ragazza non rispose, infilando in un corridoio laterale e scappando via in lacrime. –“Fermati!” –Le urlò Phoenix, inseguendola. Andromeda fece lo stesso, depositando delicatamente Sirio a terra, e correndo dietro al fratello.

“Fiore di Lunaaa!” –Urlò, cercando di comprendere il suo assurdo comportamento.

Corsero per qualche minuto in oscuri corridoi, scarsamente illuminati, seguendo le grida e i pianti della ragazza, prima di ritrovarsi, incredibilmente, in un fitto bosco.

“Un bosco?!” –Sgranò gli occhi Andromeda, osservando stupefatto la rigogliosa vegetazione intorno a loro. –“All’interno della Terza Casa?!”

“Non siamo più all’interno!” –Lo corresse Phoenix, indicando in alto. In cima, oltre le prospere fronde degli alberi, spuntava un cielo cupo e nuvoloso, il cielo di Atene.

“Ma com’è possibile?!” –Si chiese Andromeda, guardandosi intorno.

Fiore di Luna era scomparsa, e sembrava non aver lasciato traccia alcuna, quando un nuovo grido risuonò nell’aria. Una voce femminile che Andromeda conosceva bene.

“Nemes!” –Gridò il ragazzo, correndo verso il punto da cui partiva la voce.

“Prudenza!” –Gli andò dietro il fratello, a cui tutte quelle stranezze stavano dando da pensare.

Corsero in mezzo al bosco fino a una piccola radura, circondata da alti alberi fronzuti. Là, con la schiena appoggiata a un albero, trovarono Nemes del Camaleonte, con il corpo coperto di ferite sanguinanti e il volto scoperto, rigato dalle lacrime e dal terrore. Andromeda, sopraffatto dall’emozione, corse senza pensarci due volte verso l’amica, incurante delle vibrazioni della catena.

“Nooo, Andromeda!!!” –Urlò Phoenix, mentre il ragazzo afferrava l’amica per aiutarla a rialzare.

Accadde tutto in un attimo, ma fu sufficiente a Nemes per ferire Andromeda con un pugnale, strusciandolo contro la sua gola. Le Catene di Andromeda, per difendere il loro custode, saettarono immediatamente contro la ragazza, impedendole di affondare ulteriormente la propria lama, e costringendola a balzare indietro, per non essere travolta.

“Andromedaaa!” –Esclamò Phoenix, preoccupato, mentre il fratello barcollava per qualche istante, prima di cadere a terra. Ma invece di correre in suo aiuto, Phoenix agì di testa sua, concentrando il cosmo sul pugno e scagliando un violento colpo energetico contro il Cavaliere del Camaleonte.

Un sottile raggio di luce che centrò in pieno la mente della ragazza, penetrandola da parte a parte.

“Fantasma Diabolico!” –Esclamò Phoenix, ordinando alla ragazza di raccontare cosa stesse accadendo. –“Dov’è Fiore di Luna? Per quale motivo ci avete attaccato?”

“Ah ah ah!” –Rise improvvisamente Nemes, e Phoenix, per quanto l’avesse incontrata soltanto una volta, al termine della Guerra Sacra, percepì oscure vibrazioni nel suo animo. E nella sua voce.

“Tu non sei Nemes!” –Esclamò infine il Cavaliere della Fenice. –“Rivelati per ciò che sei, bastardo guerriero di Ares!”

Le parole di Phoenix colsero nel segno, obbligando la donna a rivelare il suo vero aspetto. Le sue forme mutarono, distorcendosi davanti agli occhi stupefatti del Cavaliere di Atena, mentre la sua risata si faceva sempre più sadica, quasi seducente, in un crescendo di diabolica malizia.

“Ottimo intuito, Cavaliere della Fenice”! –Esclamò una voce di donna, dai toni più sicuri e fermi di quelli delle ragazzine che aveva impersonato finora. –“Aver vissuto per anni sulla Regina Nera, tra la fame e la morte, deve averti reso più sospettoso dei tuoi incauti compagni! È bastato un nulla, un semplice gioco di ricordi, per annientarli! Tutti e tre!”

Phoenix non rispose, osservando la donna di fronte a sé. Era alta e slanciata, con un viso bianco, con due piccoli occhi marroni, che esprimevano determinazione e astuzia, mentre lunghissimi capelli lisci e castani, simili agli steli di un fiore, le cadevano sulla sua schiena. Ma la cosa che maggiormente lo colpì fu la sua armatura: una corazza dal colore marrone chiaro, perfettamente in linea con la natura circostante, e dalle particolari decorazioni verdastre, come i gambaletti e i coprispalle, dotata di un elmo, stretto come quello di Capricorn, con affisse due lunghe corna dorate che salivano verso il cielo, proprio come le corna di un cervo.

“Ma certo… tu sei… la Cerva dalle Corna d’Oro!” –Esclamò infine Phoenix.

“Onorata di conoscerti, Cavaliere della Regina Nera!” –Sorrise la donna, con malizia. –“Benvenuto nel bosco di Cerinea, di cui sono la custode!”

“Non chiamarmi con quel nome, io sono Phoenix, Cavaliere di Atena della Costellazione della Fenice! La Regina Nera è soltanto un ricordo, un amaro ricordo!”

“Oooh…” –Sogghignò la donna. –“Lo so bene! Ed è grazie ad un ricordo che ti vincerò, come ho vinto i Cavalieri tuoi compagni!”

“Maledetta!” –Urlò Phoenix. E senz’altro aspettare espanse il proprio cosmo, incandescente come l’infuocato animale che lo rappresentava. –“Ali della Fenice!” –E liberò il possente uccello infuocato. Ma la Cerva di Cerinea, che probabilmente si aspettava tale attacco, non rimase immobile ad aspettare. Allargò le sue braccia, fino a portarle a 45° rispetto alle gambe, mentre anche le corna del suo elmo fecero lo stesso, piegandosi verso il basso di 45°. Le punte degli arti si illuminarono, di un acceso bagliore dorato, creando un cerchio che passando per le quattro estremità girava tutto intorno alla donna, prima di moltiplicarsi in infiniti cerchi roteanti su se stessa, sulla Cerva di Cerinea, origine e perno di quel movimento circolare.

Le Ali della Fenice, per quanto colpo potente e violento, si schiantarono sui cerchi della donna, non riuscendo a penetrare l’abile barriera creata da quel veloce ondeggiare di dischi di luce.

“Cosa?!” –Esclamò Phoenix, incredulo che la donna avesse potuto rimanere illesa dal suo attacco.

“A me il gioco, adesso!” –Sorrise maliziosa la Cerva di Cerinea.

Quattro violenti raggi energetici partirono dalle estremità delle braccia e delle corna della donna, dirigendosi verso Phoenix, alla velocità della luce. Il ragazzo fu svelto ad evitarli, saltando in alto, ma subito si trovò a doverne fronteggiare altri, ed altri ancora, quattro attacchi contemporanei e continuati, ciascuno portato alla velocità della luce. Per un totale di quattrocentomila attacchi al secondo! Troppi! Mormorò, stringendo i denti, mentre un raggio energetico lo colpiva allo stinco destro. Un secondo raggio lo ferì ad un’ala, sbilanciandolo, e questo permise alla Cerva di Cerinea di colpirlo in pieno petto, con un raggio unico, prodotto dall’unione dei quattro distinti fasci energetici. Phoenix fu travolto e scaraventato indietro, schiantandosi con fragore contro un albero e ricadendo a terra, nel folto sottobosco.

“Colpito una volta, colpito per sempre!” –Sogghignò la Cerva di Cerinea, rilassando la propria posizione. –“Me lo insegnò il mio maestro… Quando un Cavaliere perde la concentrazione, perde anche la battaglia! È bastato colpirti in un unico punto, per sbilanciarti! Sei debole, Cavaliere!”

Phoenix non rispose alle schernite della donna, cercando di rimettersi in piedi, per quanto il petto gli dolesse. Tastò l’armatura e la trovò bollente, proprio come il suo umore. Irato e desideroso di rivalsa. Ma poi cercò di placare il suo animo, recuperando la ragione, sepolta dentro sé, in qualche luogo che persino lui a volte faceva fatica a comprendere dove fosse, e si concentrò sulla sua avversaria. Un’abilissima guerriera, niente da dire! Commentò, osservandola. Ed è persino bella!

“Cosa c’è? Ti sei morso la lingua, Cavaliere?” –Lo provocò la Cerva di Cerinea.

“Tutt’altro! Non sono mai stato desideroso di conversare come adesso!” –Ironizzò Phoenix.

“Mi fa piacere! Adoro scambiare quattro chiacchiere con le mie prede! Prima di ucciderle!” –Ed esplose in una grossa risata.

“Cosa ne hai fatto di Sirio e Andromeda? E dov’è Pegasus?”

“Non sono ancora morti, se è questo che ti preme sapere! La lama con cui li ho colpiti era intrisa di curaro, un veleno che impiega circa un’ora prima di agire completamente sull’intero organismo! Vi porterò ad Ares come dei vegetali, pronti per essere gettati nella bocca di Ade!”

“Nella bocca di Ade finirai tu, strega!” –Urlò Phoenix, scattando avanti, con il pugno destro carico di energia rovente. –“Pugno Infuocato!”

Ma la Cerva di Cerinea evitò l’affondo del ragazzo con sorprendente facilità, semplicemente roteando su se stessa, mentre il pugno di Phoenix le passava davanti al naso. Con una mossa decisa afferrò il braccio del ragazzo e lo sollevò di peso, scaraventandolo indietro, ma Phoenix, sfruttando le ali della sua Armatura Divina, fluttuò nell’aria, ricadendo a terra compostamente.

È veloce! Rifletté. Proprio come la Cerva del mito! E si ricordò della terza fatica di Eracle: la cattura della Cerva dalle Corna d’Oro, animale sacro ad Artemide, dotato di incommensurabile velocità e destrezza, al punto che l’eroe greco dovette inseguirla per un anno intero, fino a stancarla, fino ai Giardini delle Esperidi. Là, la Cerva si fermò per bere, ed Eracle, approfittando di quel momento, la colpì, con una freccia che trafisse la gambe anteriori dell’animale, passando tra osso e tendine, senza far uscire una goccia di sangue. Poi, gettatosi la Cerva sulle spalle, si diresse verso Micene, per condurla da Euristeo, l’uomo che gli aveva imposto le Dodici Fatiche.

“Tutto qua, Cavaliere?! Da uno che è stato addestrato sull’Isola della Regina Nera, mi aspettavo di più?” –Lo schernì la donna, leccandosi le labbra.

“Vuote parole le tue, Cerva di Cerinea! Saprò domarti! E catturarti!” –Si raddrizzò Phoenix.

“Illuso! Tu non sei Eracle! Nessuno può catturare la Cerva dalle Corna d’Oro!”

“Scommettiamo?” –Esclamò Phoenix, bruciando il proprio cosmo.

“Scommettiamo!” –Rispose la donna, prima di sfrecciare via, nel fitto bosco.

Phoenix non esitò un istante, inseguendola. Sfrecciarono veloci, come fulmini, in mezzo ad alti alberi fronzuti, correndo su due file parallele, vicini, come corridori olimpionici. Ogni volta che la Cerva di Cerinea svoltava, Phoenix la seguiva, come la sua ombra, tallonandola più da vicino che potesse. Ma, dovette ammettere il Cavaliere di Atena, la Cerva sembrava realmente più veloce di lui, riuscendo sempre a mantenere un certo margine di distacco. Quel margine che mi darà la vittoria! Sorrise la Cerva, sfrecciando tra gli alti alberi del bosco.

Improvvisamente si fermò e si voltò verso Phoenix, attaccandolo con raggi energetici, ma il Cavaliere, per quanto sorpreso, fu abile ad evitarli entrambi, prima di balzare su di lei, per colpirla con il pugno destro. La Cerva saltò però indietro, con un’agile piroetta, atterrò sulle braccia e scattò nuovamente avanti, cercando di colpire il ragazzo con i suoi zoccoli. Phoenix si scansò rapidamente, venendo ferito solo di striscio, ma subito la donna balzò contro di lui un’altra volta, caricando due raggi energetici che quella volta il ragazzo non poté evitare, venendo spinto indietro.

“È resistente quella tua corazza!” –Esclamò la donna, ansimando per lo sforzo.

“Efesto in persona me l’ha riparata!” –Commentò Phoenix, rialzandosi e sputando sangue. –“E la tua mano di donna non riuscirà a scalfirla! Perciò non provarci nemmeno!”

“Ah ah ah! Non essere ridicolo! Credi di essere nelle condizioni per dettare legge? Non penso proprio!” –Sorrise la donna, mentre Phoenix scattava avanti, con il pugno carico di energia infuocata. Ma non riuscì a fare neppure due passi che fu improvvisamente afferrato per i piedi, e gettato a terra, da nodose radici che iniziarono a sgorgare dal terreno.

“Che… che succede?!” –Si chiese il Cavaliere della Fenice, mentre migliaia di radici e piante rampicanti si avvolgevano intorno al suo corpo.

“Svegliati natura dormiente, destati e uccidi l’uomo che ha osato attaccarmi, invadendo il bosco sacro di Cerinea!” –Esclamò la Cerva, espandendo il cosmo.

La natura intorno a lei parve risponderle e immobilizzò Phoenix, sollevandolo e tirandolo per le braccia e per le gambe, da rami nodosi e robusti, mentre piante rampicanti si attorcigliavano intorno alla sua vita, stringendo con forza.

“Aaaah…” –Gridò Phoenix, bruciando il proprio cosmo incandescente per cercare di liberarsi. Ma ogni qualvolta che riusciva a liberare anche soltanto una mano, bruciando i rami che lo tenevano prigioniero, ecco che ne arrivavano altri, in un’infinita processione che presto lo avrebbe stremato.

“Come Eracle nel mito stremò la Cerva, rincorrendola per un anno intero, così io ho stancato te, Cavaliere di Atena! E adesso prenderò la tua vita, e la porterò ad Ares, mio Signore, come trofeo da appendere nella Sala delle Vittorie!” – Ed espanse il proprio cosmo dorato, dalle striature marroni e verdastre.

“Nooo… nooo…” –Urlò Phoenix, bruciando il cosmo a sua volta.

“Non dimenarti, sciocco! Prolunghi soltanto la tua agonia!” –Lo schernì la donna, mentre le sue braccia e le corna del suo elmo si disponevano nella posizione di attacco.

Le quattro estremità si illuminarono improvvisamente, caricandosi di energia cosmica, che la donna voleva dirigere contro Phoenix, impossibilitato a reagire. Ma il Cavaliere di Atena, determinato a liberarsi e a salvare i compagni in difficoltà, espanse il proprio cosmo a dismisura, mentre l’immortale figura della Fenice infuocata comparve intorno a lui.

“Vola, Fenice della Speranza!” –Gridò, stringendo i denti. –“E liberati da quest’effimero giogo!”

L’uccello infuocato recise i legami che lo tenevano prigioniero, incendiando con impeto e vigore la vegetazione circostante. Nuovi rami e piante tentarono di imprigionare nuovamente il ragazzo, ma tutti quelli che si avvicinavano venivano ridotti in cenere dall’infuocato battito d’ali della fenice.

“Incredibile!” –Commentò la donna, osservando la scena. Ma per quanto stupita, non arretrò di un passo, caricando il proprio quadruplice attacco. Phoenix però non rimase ad aspettarlo, lanciandosi avanti, con il pugno colmo di energia rovente, che si scontrò subito con l’assalto energetico della donna, contrastandosi a mezz’aria.

“Aaah!!!” –Urlò la Cerva di Cerinea, spingendo al massimo il proprio cosmo, mentre anche Phoenix faceva altrettanto.

“Andate Ali della Fenice! Uscite da questa opprimente gabbia!” –Gridò il ragazzo, scaricando l’immenso potenziale del suo cosmo. La tempesta infuocata creata da Phoenix spazzò via i quattro raggi dorati della donna, abbattendosi con impeto e vigore sulla barriera circolare posta a sua difesa.

“Hai fermato il mio attacco, ma non supererai mai i miei cerchi dorati!” –Esclamò decisa la Cerva, aumentando la rotazione della sua difesa.

Ed infatti le Ali della Fenice, per quanto impetuosamente si schiantassero sulla sfera dorata all’interno della quale la donna era rinchiusa, non riuscivano a sfondarla, scivolando sull’energetica superficie, senza trovare un punto preciso dove entrare. Perché non c’è un punto preciso! Realizzò infine Phoenix. Basta un punto! Azzardò l’idea, concentrando tutta la tua energia sul pugno destro.

“Colpito una volta, colpito per sempre!” –Esclamò, lanciandosi avanti.

Con tutta la forza che aveva in corpo, colpì avanti a sé, un punto imprecisato della barriera della Cerva di Cerinea, scaricandovi il suo cosmo infuocato. La sfera dorata accusò il colpo e i cerchi roteanti che la componevano andarono in frantumi, spezzandosi all’istante, mentre la donna veniva scaraventata indietro, travolta dalla tempesta di energia. Rotolò per una decina di metri sul terreno, perdendo l’elmo cornuto della sua corazza, ritrovandosi con la faccia nel muschio, nell’adorato muschio del suo bosco. Dove avrebbe voluto uccidere il Cavaliere che l’aveva umiliata.

“Com’è il tempo là in basso?” –Ironizzò Phoenix, incamminandosi verso la donna. –“Umido, non trovi?!”

“Lurido verme…” –Mormorò la Cerva di Cerinea, cercando di rialzarsi e di rimettersi in piedi. Ma non fu abbastanza svelta da evitare un violento calcio con cui Phoenix la colpì sul viso, spingendola indietro. Quindi il ragazzo la afferrò con le sue robuste braccia, cariche di energia cosmica, fermando i movimenti della donna.

“Cosa farai adesso?! Chiamerai ancora le tue pianticelle per farti liberare?”

“E perché dovrei?!” –Commentò lei, con un sorriso sardonico sul volto. –“Non ho niente da temere da te! Non ho niente da temere dall’uomo che maggiormente mi ama al mondo!”

Phoenix non comprese a cosa si riferisse la donna, ma non riuscì a trattenere un’espressione di sorpresa quando vide i suoi lineamenti cambiare, la sua pelle modificarsi, fino ad assumere l’aspetto, e l’espressione, di una persona che conosceva bene, essendo stato per molto tempo il suo unico conforto: Esmeralda, il fiore dell’Isola della Regina Nera.

“Phoenix!” –Balbettò la ragazzina, con voce tremante e insicura. –“Oooh Phoenix!” –Aggiunse, gettandosi tra le sue braccia, strusciando il viso sulla sua corazza Divina, lasciando che i suoi biondi capelli lambissero il mento, il viso del ragazzo, permettendogli di assaporare il suo odore. L’odore dell’unico fiore cresciuto su quell’isola maledetta.

“Es… Esmeralda!” –Farfugliò Phoenix per un momento, prima di recuperare il controllo di sé e afferrare la ragazza e guardarla fissa negli occhi. –“Con me non funziona, Cerva!”

“Ooh Phoenix!” –Continuò Esmeralda, mentre i suoi occhietti si illuminavano di lacrime, senza distogliere lo sguardo da lui.

“Smettila, avanti! Torna in te!” –Esclamò Phoenix, scuotendo la ragazza. Ma non ottenne altra reazione che quella di aumentare le lacrime e l’apparente dolore della giovane, che continuava a chiamare il suo nome, ad evocare l’odore dei fiori, e il ricordo di quei pochi momenti felici che aveva vissuto sull’Isola della Regina Nera. Quei pochi momenti che aveva cancellato, che la guerra e l’odio lo avevano obbligato a mettere da parte.

“Mi hai dunque dimenticato, Phoenix?” –Domandò la ragazza, continuando a fissarlo con sguardo dolce e languido.

“Non ti ho dimenticato, Esmeralda!” –Commentò acidamente lui. –“Ma tu non sei qua, sei soltanto un’illusione! Un’illusione che devo superare per andare oltre!”

“Un’illusione?! Ne sei certo?! Guarda!”

Phoenix scosse gli occhi, alla vista dell’immenso campo di fiori che comparve intorno a loro, sostituendo il bosco e gli alberi, e lasciandoli soli, in mezzo a quel profumato prato fiorito. Esmeralda iniziò a correre nell’erba, scalza, come amava fare, inseguendo una farfalla birichina, di fronte agli occhi attoniti di Phoenix, che iniziavano a farsi più partecipi. Poco dopo tornò indietro, con un mazzo di fiori, che offrì gentilmente al ragazzo, con il suo migliore sorriso.

“Li ho colti per te, Phoenix! Portali con te, così saprai sempre come ricordarti di me!” –Sorrise Esmeralda, afferrando le mani del ragazzo.

Quel tocco, quel lieve tocco, scombussolò Phoenix, mentre l’incantesimo della Cerva di Cerinea continuò ad operare, travolgendo il ragazzo grazie ai suoi ricordi. Quegli stessi ricordi che avevano ferito Pegasus, Sirio e Andromeda, gli amici che in quel momento gli sembravano lontani anni luce.

“Eh eh... eh eh…” –Sorrideva e cinguettava Esmeralda, in quel prato fiorito, mentre i raggi del caldo sole del Pacifico li baciavano senza avidità. Trottava sull’erba e girava su se stessa, correndo poi a nascondersi dietro i fiori, chiamando Phoenix che andasse a cercarla.

“Esmeralda!” –Sorrise infine il Cavaliere di Atena, muovendosi per andare da lei. Ma prima che la raggiungesse, una voce giunse al suo animo, un lontano richiamo dal profondo.

“Fermati, Cavaliere della Fenice! Non cadere vittima dell’illusione!”

“Ma… cosa?!” –Si domandò Phoenix, prendendosi la testa tra le mani.

“Non dimenticare la promessa che facesti ad Esmeralda e che rinnovasti al Tempio dei Sogni! Sei il Cavaliere della Speranza, ragazzo!” –Continuò la voce maschile, che finalmente Phoenix riuscì a riconoscere.

“Ma tu… sei... Morfeo!” –Esclamò Phoenix, riconoscendo il cosmo del Dio dei Sogni. Flebile come la fiammella di una candela.

“Proprio io, ragazzo mio, proprio io!” –Sorrise il vecchio Dio dei Sogni.

“Ma io credevo che tu fossi…”

“Morto?! Beh, fisicamente credo che sia il termine più corretto! Ma la mia anima è perdurata, come tutte le anime divine, anche se sono lontano! Molto lontano! Prigioniero di un oscuro limbo da cui difficilmente riuscirò a tornare con le mie misere forze! Ma posso arrivare a te, parlare al tuo animo, che ho scandagliato più a fondo di molti altri! E posso incitarti a non cedere, a non cadere nella tentazione del ricordo! No, Phoenix, chiudi il tuo cuore, per quanto sia duro, e apri gli occhi, essi ti guideranno verso la vittoria!”

“Gli occhi?!”

“Sì, gli occhi della verità! Quelli che hai chiuso entrando nel Terzo Tempio, cadendo in balia degli incantesimi della Cerva di Cerinea! Apri gli occhi, Cavaliere, e vola via, sulle ali della Fenice!”

“Morfeooo…” –Urlò Phoenix, ma la voce scomparve e si ritrovò da solo in mezzo al campo di fiori.

Esmeralda continuava a guardarlo sorridente, facendogli cenno di avvicinarsi e sedere accanto a lei, ma Phoenix, per quanto quello fosse il futuro che aveva sempre sognato, strinse i pugni, accendendo il proprio cosmo incandescente.

“Scompari, fatua visione! Scompari, amaro ricordo! Quel che non è stato non potrà essere più!” –Affermò, chiudendo gli occhi, quelli del suo cuore, e aprendo i veri occhi, quelli che gli avrebbero mostrato la via.

“Ma Phoenix…” –Urlò Esmeralda, in lacrime, correndo verso di lui.

“Scompaaariiii!!!” –Gridò Phoenix, con tutto il fiato che aveva in corpo. La determinazione e la risolutezza in lui furono così grandi da frenare Esmeralda di colpo, lasciandola impotente di fronte a lui. In un attimo tutto cambiò, tutto crollò, tutto recuperò le sue forme.

“Com’è stato possibile?!” –Esclamò la Cerva di Cerinea, riassumendo le sue fattezze originarie.

“Ho già abbandonato il mio passato, Cerva dalle Corna d’Oro, molto tempo fa! E due giorni or sono rinnovai il mio giuramento, incitandomi a guardare oltre, incitandomi a non vivere di ricordi, ma di speranza! Di speranza nel futuro!”

“Tu sia maledetto, Phoenix!” –Gridò il berseker di Cerinea, espandendo il proprio cosmo.

Raggi energetici si dipartirono dalle sue braccia, ma Phoenix li fermò tutti, col palmo aperto della sua mano destra, sorprendendo la sua avversaria.

“Sei soltanto un’illusione, Cerva! Come Esmeralda, come Nemes, come il bosco!” –Commentò freddamente il ragazzo. –“Forse potrai vincere una volta, facendo breccia negli animi fragili e puri di coloro che nel ricordo del passato trovano consolazione, ma non su di me, che ho deciso di guardare al futuro! Al futuro nel quale volerò… con le Ali della Fenice!!!”

Il devastante attacco infuocato travolse la Cerva di Cerinea, sollevandola da terra, mentre il suo corpo veniva dilaniato dalle immortali fiamme della Fenice. Ricadde a terra molti metri addietro, tra i frammenti insanguinati della sua corazza; tentò di rialzarsi, di combattere ancora, crollò dopo poco, priva di vita. In un attimo tutte le illusioni scomparvero, e Phoenix si accorse di essere all’interno del Terzo Tempio, che aveva riacquistato il suo aspetto originario. Non molto lontano da lui, c’erano i corpi feriti di Sirio, Pegasus e Andromeda, che il Cavaliere raggiunse correndo.

I tre amici erano pallidi in volto, quasi febbricitanti, per effetto del veleno che la Cerva aveva inserito nel loro corpo. Phoenix non era un medico, e non aveva niente con cui curarli, ma si ricordò di come Sirio, mesi e mesi prima, all’inizio della loro avventura, aveva liberato Pegasus dalla morte atroce di Pegasus Nero, e ritenne opportuno fare altrettanto. Spogliò in fretta i tre delle loro corazze, colpendo i loro corpi con due dita congiunte, nei punti vitali della costellazione di appartenenza.

In questo modo, rifletté, il sangue avvelenato scorrerà via, e il loro cosmo, e quello di Atena, che è dentro tutti noi, farà altrettanto! Almeno spero! Aggiunse, rimettendosi in piedi e guardando i tre amici, distesi a terra, ricoperti di oscuro sangue.

Per un momento fu tentato di fermarsi, ma poi ritenne adeguato continuare la missione, come avevano concordato insieme. Si lanciò quindi nel corridoio della Terza Casa, diretto verso l’uscita, pregando Gemini e Kanon, spiriti custodi di quel tempio, di prendersi cura dei suoi amici.
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